Un viaggio all’interno della comunicazione, che mai come nell’ultimo periodo è stata approssimativa e pericolosa.
Un breve saggio che mostra, con esempi e citazioni di politici, storici e scrittori, le conseguenze della fuorviante e pericolosa comunicazione utilizzata da giornalisti e autorità durante la situazione d’emergenza Covid-19.
Nelle ultime pagine l’autore propone una riflessione positiva e illuminante, che pone l’accento sulla parola “cura”, mai così importante.
Da giorni basta aprire un giornale, scorrere le notizie sul telefono, guardare un notiziario in tv per sentirci dire che siamo in guerra. L’emergenza Covid-19 è quasi ovunque trattata con un linguaggio bellico: si parla di trincea negli ospedali, di fronte del virus, di economia di guerra; ogni sera la Protezione civile dirama un bollettino con il numero dei morti e dei contagiati che aspettiamo col fiato sospeso. Ma è appropriato paragonare la pandemia e la situazione generale a uno stato di guerra? Qual è il retro pensiero dietro a questa scelta comunicativa, consapevole o meno, e quali sono le conseguenze dirette e indirette, nel discorso pubblico?
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